- Data di pubblicazione
- 11/05/2024
- Ultima modifica
- 15/05/2024
Wandrè La chitarra del futuro
Dall’11 maggio all’8 settembre, le chitarre di Antonio "Wandrè" Pioli in mostra al Museo della musica di Bologna
Il Museo internazionale e biblioteca della musica del Settore Musei Civici Bologna dedica una mostra alla figura leggendaria di Antonio “Wandrè” Pioli (Cavriago, 1926-2004), fondatore negli anni Cinquanta della prima fabbrica di chitarre elettriche in Italia e inventore di alcuni dei modelli più innovativi e sperimentali nella storia mondiale di questo strumento, vere e proprie opere d’arte pop intrise di futurismo, surrealismo, metafisica e astrattismo, ancora oggi tra le più ricercate dai collezionisti di ogni paese.
Il progetto espositivo Wandrè La chitarra del futuro, visibile nella Sala Mostre del museo dall’11 maggio all’8 settembre con ingresso gratuito, è a cura di Marco Ballestri con la collaborazione di Oderso Rubini e del collettivo I Partigiani di Wandrè che tiene viva la memoria della sua straordinaria avventura artistica e umana.
Wandrè è un marchio italiano noto per la sua eccentricità e sperimentalità, all’avanguardia negli anni ’60, grazie al genio di Antonio Vandrè Pioli, conosciuto come Wandrè: artista, imprenditore, partigiano, artigiano e soprattutto uno dei liutai più innovativi del secolo scorso.
Le chitarre Wandrè, definite sculture sonore, viaggiano per il mondo come creature uniche, distanti dai modelli convenzionali dell’epoca, portando con sé una visione unica.
È il primo in Italia a costruire chitarre e bassi elettrici e ha un progetto ben preciso: trasformare la chitarra da attrezzo di lavoro per il musicista in una vera e propria protesi dell’artista per il transfert delle emozioni. Si tratta quindi di un design che intende introdurre arte nell’arte: i suoi strumenti devono essere in grado di trasmettere di per sé energia ed emozioni in virtù delle loro forme, dei loro colori (che mai si erano visti prima su uno strumento), dei nuovi materiali introdotti (come la plastica e l’alluminio) e dei tanti simbolismi che Wandrè nasconde in quelle linee apparentemente assurde, ma che a ben vedere così bizzarre non sono affatto.
La produzione si realizza nell’avveniristica fabbrica dalla pianta rotonda e open space, realizzata con una tecnica costruttiva – la struttura tenso-elastica con cemento precompresso – che a quei tempi era quasi solo teorica e mai utilizzata per la copertura di un edificio ad uso industriale. La soluzione architettonica, con una vetrata circonferenziale e un’apertura centrale sul tetto concavo, consentiva agli operai di vedere costantemente il cielo, così che ricordassero di essere persone libere.
Quando Wandrè iniziò a costruire chitarre elettriche era fermamente intenzionato a esportare il nome di Cavriago in tutto il mondo. E ci riuscì egregiamente, tanto che già nei primi anni ’60 spediva strumenti in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Sudafrica, Sud America e Nuova Zelanda.
Molto più complesso fu invece il suo rapporto con gli USA, un rapporto reciproco di amore e odio. Uomo di sinistra, classe 1926 ed ex partigiano, egli guardava agli Stati Uniti con diffidenza ambivalente: ne condannava l’economia capitalista, ma ne apprezzava al contempo lo spirito libertario. Come l’amico musicista Pietro Bertani, amava il jazz e i fermenti musicali che arrivavano da oltreoceano, ma non nutriva nessuna simpatia per la liuteria americana, che giudicava presuntuosa e colonialista. Dal canto loro gli importatori americani esercitavano un vero protezionismo cercando di esportare in Italia i loro marchi e di acquistare dall’Italia solo strumenti economici per principianti.
A differenza dei commercianti, invece, i chitarristi e i collezionisti americani hanno sempre nutrito un grande interesse per le chitarre made in Cavriago, avendone per primi riconosciuto il valore intrinseco di vere e proprie opere d’arte pop.
L’intera produzione di Wandrè è permeata da un’urgenza poetica e da un profondo lirismo erotico, ma più spesso il carattere delle opere emerge prepotentemente dalle linee, dal contrasto dei colori e dall’incontro di materiali inconsueti per l’arte liutaria.
La mostra presenta oltre 50 pezzi tra chitarre, bassi e contrabbassi, ognuna con la sua storia e con la sua personalità unica: pezzi iconici e irripetibili per forma, colore, tecnica e materiali utilizzati. Il percorso, contestualizzato con altre opere dell’artista realizzate dal 1970 alla fine degli anni ’90, esprime molto bene il carattere di Wandrè: pop e al contempo psichedelico, dieci anni prima della psichedelia.
La mostra inaugura venerdì 10 maggio, alle ore 18:00, e si inserisce nelle iniziative organizzate per celebrare, con il claim 20ofmusic, il ventesimo anniversario del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna.
Il progetto espositivo è realizzato in collaborazione con Regione Emilia-Romagna – Assessorato alla Cultura e Paesaggio e con la sponsorship tecnica di Assimusica, Cremona.
Fa inoltre parte di Bologna Estate 2024, il cartellone di attività promosso da Comune di Bologna e Città metropolitana di Bologna – Territorio Turistico Bologna-Modena.
Nell’ambito della rassegna di narrazioni musicali La musica che gira intorno, domenica 9 giugno, alle ore 17:30, il Museo della Musica propone l’incontro Wandrè, chi era costui? Vita, opere e (presunti) miracoli dell’artista della chitarra elettrica con Marco Ballestri, uno dei 5 massimi esperti della vita e delle opere di Wandrè.